LUCIA PARAVANO

Lucia Paravano nasce a Palmanova il 24 novembre 1974. Frequenta gli studi superiori presso l’Istituto Statale d’Arte “G. Sello“ di Udine. Alla fine degli anni ‘90, a completamento di un personale percorso artistico, partecipa alle lezioni di “figura” del Maestro Sergio Favotto presso la Galleria d’Arte “Artemisia” di Pozzuolo del Friuli (Ud). Affinata la tecnica e completato lo studio accademico principia un percorso autonomo e rivolge la sua attenzione al paesaggio raffigurando scorci della splendida Venezia, inserendo nel suo trasferire immagini nella tela il personale e distintivo graffio. La figura umana però rimane sempre una vibrante passione attraverso la quale trasferisce all’osservatore gli individuali stadi profondi dell’anima. Lucia con l’arte esterna liberamente nascoste emozioni, le figure diventano messaggere di un’introspezione dolorosa che si riversa sul supporto urlando per mezzo di un originale segno espressivo. Attualmente l’autrice è in piena evoluzione artistica, la sua attenzione è rivolta alla lettura dell’anima e al far emergere fobie e debolezze della fragilità umana, la figura diventa così ambasciatrice di un messaggio universale frutto di un’attenta e personale indagine sull’uomo. La caratteristica cifra espressiva della Paravano non è associabile a specifiche correnti artistiche o ad artisti in genere, in quanto la personale rivisitazione della vita attraverso l’arte come la tecnica sono sensibilmente personali e soggettivi.

CRITICA LUCIA PARAVANO

L’espressione artistica corrente di Lucia Paravano verte verso una raffigurazione iconica dedicata all’uomo e alle sue fragilità. La galleria consta una serie di figure, per lo più femminili mostranti, attraverso una nudità a volte imbarazzante, un fraseggio di tensioni muscolari enuncianti una dialettica d’insieme di grande spessore emozionale. Perché di emozione si parla attraverso gli arpeggi di pennello intrisi d’acrilico acquerellabile e stesi sulla tela o faisite  e successivamente sfregiati o con il legno del pennello o con la biro, proprio quei segni, quei graffi, talvolta più infossati altre volte appena accennati andranno a tracciare l’impronta caratteristica e sostanziale dell’espressività dell’artista. Seppur di primo acchito le figure di Lucia sembrino un elogio alla sessualità libera e provocante in realtà le creature, nate da gesti d’impulso veloci e decisi, toccano temi umani e soprattutto della sfera del mondo femminile d’altissimo impatto emotivo. La ricerca della Paravano procede così verso un’universalità di contenuti che se anche di primo impatto nascono da un’esperienza vissuta nel proprio microcosmo e dalla maturazione di una tensione sovra individuale, appena escono dal suo atelier diventano la parola e l’urlo del mondo. La radiazione interiore dell’artista invade così il dipinto salendo da un profondo individualismo psicologico insinuandosi in ogni cambio di colore, in ogni tratto segnico pesantemente appoggiato e atto a delineare dei contorni che conterranno quella carne tesa, tremante e contenente tutta l’energia di vita dei personaggi rappresentati, tratteggiando la via della comprensione del quadro come gradini su cui lo sguardo rimbalza e si aggrappa per non perdersi nella visione dell’insieme. La tensione drammatica dei soggetti si concentra sostanzialmente e differentemente in base al tema da raccontare, cosicché le parti anatomiche che cattureranno la nostra attenzione saranno: mani nodose e ossute poste in primo piano, addomi tesi, cosce visivamente esaltate, esagerandone le dimensioni e i visi, maschere tragiche, eseguiti con la forza di pochi drammatici tratti. Bianchi e rossi i colori predominanti, al bianco si può associare la morte al rosso la vita palpitante e il calore di una fiamma, è il battito cardiaco portatore di grandi emozioni o forti delusioni e poi il nero che chiude le figure e le imprigiona nella loro forma terrena. La tavolozza talvolta si arricchisce di azzurri, gialli e ocra, atti a far riposare l’occhio dello spettatore per concedergli una pausa di riflessione e per avvolgerlo nell’eco del silenzio dell’urlo soffocato. Le figure ardono di quel fuoco puro dell’esistenza, del fato che si compie, della ruota che gira, dove i fatti si succedono e si ripropongono negli anni nei secoli, in tutte le comunità colte o meno colte, perché l’uomo è debole e cade sempre nell’errore. Così si enuncia la sopraffazione del corpo femminile per mano della prepotenza fisica maschile (Disonore e sgomento) dove fonde mito, visione del mondo e autobiografia; l’accettare le proprie umane imperfezioni e mostrarle senza pudicizia, ma affrontare con dignità lo sguardo critico di chi guarda (Inadatte imperfezioni), o scontrarsi con la paura terrena della morte, terrore legato alla nostra cultura. L’autrice poi tratta temi attuali ed esposti ininterrottamente dai media come: la violenza sulle donne o l’anoressia, entrambe denunciate da Lucia come l’annullamento della persona, la donna che viene colpita nella sua dignità o dall’interno di se stessa o violata dall’esterno. I corpi rappresentati sono attanagliati da un’agitazione interiore, attorcigliati nella loro sofferenza e cercano nella preghiera la via d’uscita, la luce, la speranza o talvolta si contorcono in quello sconforto smaniante senza uscita e vedono univocamente la risoluzione del problema in un unico e ultimo atto, ultimo gesto di egoistico coraggio per non reagire alla vita, atto conseguente ad un mutismo relazionale incompreso dove si parla sempre, ma mai di sé. Ogni pennellata è un colpo d’onda, una percossa, un risucchio, un frangersi di spuma.  Lucia poi affronta sé intimamente, si riflette allo specchio e rappresenta la sua nudità accettata negli anni, assimila le sue imperfezioni e il suo dualismo e, nonostante il segno sempre incisivo e vibrante, addolcisce il messaggio creandosi una nuova identità svincolata dalle pressioni intime quotidiane e consapevole e riconoscente sempre, che la sua grande libertà raggiunta, è stata ed è dovuta all’arte traducendo in termini visivi l’energia spirituale dell’arte stessa e la sua azione di risveglio della coscienza.

Raffaella Ferrari
Critico d’Arte


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