L’euritmia del colore
Raffaella Ferrari vietata la riproduzione
‘L’artista non riuscirebbe a creare con la sua materia, se in lui non vivesse l’impulso che proviene dal mondo spirituale.’ Rudolf Steiner
Accurato e sottile erotismo, rivalorizzazione e recupero dell’arte del ‘500, soprattutto orientata ed assimilata al periodo iperrealista, auto-analisi psicologica con arguto studio rivolto alla fisiognomica, che pone in evidenza, le molteplici tensioni muscolari, così principia la narrazione matura dell’espressione artistica del maestro Loris Rossi, dopo un’importante ‘palestra’ di studi accademici, che hanno guidato e portato a galla, nell’attuale espressione raggiunta, un naturale talento. Queste estrinsecazioni non bastavano e nemmeno soddisfavano completamente il primo pensiero di Loris perché, una volta messosi alla prova e raggiunto e maturato l’obiettivo prefissato, sentiva di dover rispondere dentro sé ad altri bisogni espressivi, più liberi, meno accademici e che controbattessero ad intime necessità creative. Questo lungo percorso lo conduce a manifestarsi con un nuovo linguaggio, completamente irriconoscibile rispetto ai precedenti periodi e, grazie al quale, raggiunge la forza sperimentale di un ‘codice dell’Arte’ che lo allontana sempre più dalla riproduzione quasi ‘eccessiva’ del Vero. Percorrendo questa nuova strada, che lo porta all’abbandono del fluire dell’animo, in un mondo e in un sentire del tutto nuovo e profondamente personale, inserisce nelle vibranti energie trasmesse dal colore, l’incidenza della luce, che su di esso, si arricchisce di una stuzzicante e brillante forza. Le forme così vanno via via sintetizzandosi e il particolare lascia spazio alla macchia, alla sovrapposizione del pigmento, che crea forma attraverso le sue trasparenze, al di là delle quali, si evince un fraseggio quasi simbolico del favoleggiare dell’ultimo sogno. Si setaccia così la sua capacità esecutiva nel campo della descrizione del reale e se ne fa tesoro, congiuntamente alla capacità di sintesi raggiunta, che ci rimanda ad un Vero ‘assoluto’, ossia personale, come ultimo felice risultato rivolto alla sperimentazione sulle tecniche e sulle forme e conseguito in molti anni di pratica. Viene proposta così la realtà com’è ora per Rossi, quella realtà adagiata nell’armadio del Cuore e filtrata attraverso uno sguardo che penetra e va oltre l’effettività della vista. La luce calibra e conduce armoniosamente ogni spatolata, che grazie alla pratica costante e quasi compulsiva del produrre arte, padroneggia nell’euritmia ed equilibrio del soggetto rappresentato, qualsiasi esso sia. A volte diventa dissacrante e scompagina, nell’inatteso, la narrazione del quadro, altre volte invece ci ritroviamo di fronte a scorci improbabili o ad imprevisti inserimenti che creano meraviglia; ma è proprio la ricerca del particolare, nel suo fluido raccontare, che lo rende unico nel suo genere. La varietà delle dimensioni dei quadri da tondi, a rettangoloni o quadrati, grandi e piccolissimi, portano in sé quella frenesia del fare che a volte viene rallentata solo dalla tecnica artistica prescelta, come la sacralità del ritmo della stesura dell’olio o l’immediatezza dell’acrilico. I colori, sicuramente non desunti da una visione oggettiva, ma evinti dal mondo del sogno e raccolti dallo spettro elettromagnetico del colore, lo spettro dell’invisibile trasfuso poi nel visibile, proprio quei sette colori rappresentano per lo più la sua tavolozza e la nostra percezione è impreziosita anche dall’elemento fondo, curato, materico, coagulato, che conferisce al quadro una sorta di tridimensionalità elargita dallo scorrere della luce e dal suo opposto, l’ombra. La pittura di Rossi, che si alterna tra istintuale e rituale, in base al soggetto scelto, è ancor più dovuta alla scelta della tecnica esecutiva, che rimanda, attraverso la sua vividezza, ad un linguaggio universale, quello dell’emozione. Da qui i temi si strutturano, soprattutto se si rivolgono ai paesaggi, a quegli scorci della sua terra, l’immoto Polesine, dove non esiste un orizzonte, in cui terra, cielo e acqua si appartengono e si fondono in un unico colore, fasciati da un silenzio metafisico. La pianura, i pioppeti e le golene, dove la nebbia talvolta rapisce tutto e lascia in evidenza, come in un ricamo, tracciati di luce che filtrano e s’imbattono sulla rugiada posata sulle foglie, sulla corteccia o su fili d’erba intuibili, fa sembrare che tutto abbia origine dal rimbalzo della luce come arpeggio dato dalla rifrazione delle faccette dei cristalli. Le Venezie poi, ornate da riconoscibili simboli e i vicini Colli Euganei, si fanno indagine e i quadri trattengono il ricordo di quel fugace passaggio, come se Rossi dovesse spedire a se stesso una cartolina, per imprimere e trasferire quella specifica visione indelebilmente nella memoria. La stessa immagine è filtrata dalla pura emozione che non ha contorno, ma è esplosa nell’armoniosa compenetrazione di colore in colore. Nei paesaggi, soprattutto, le immagini riportate attraverso i vari piani prospettici visti da punti di fuga diversi, edificano castelli di architetture ad incastro, ed emergono con imponenza dei particolari, piuttosto che, la valutazione dell’insieme. Ciò che regge tutto è sempre il colore che funge da ponte di collegamento, da regista teatrale a quel linguaggio artistico steso come uno spartito, dove tutto ricorre alla concordanza, com’anche alla pausa silenziosa e rituale, dello scorrere dell’occhio. La stessa tecnica esecutiva viene usata poi per i ritratti, per le nature morte, opere a carattere floreale, per poi liberarsi sempre più dalla forma e mutare, con sacralità, verso l’astratto. La connessione con il mondo ideale e intimo di Rossi così si insinua sino nel profondo e porta alla luce, non solo il pensiero, che in sé è già un’opera d’arte, ma ne dà forma, restituendo a lui, come a noi, quelle segrete vibrazioni dell’Anima, dove in ogni stesura del colore, rimane comunque e sempre intrappolata, come in un prezioso scrigno, la vera essenza dell’enigma dell’Arte.