In una frase del filosofo danese Kierkegaard (1843) si racchiude la poetica artistica di Cesco Magnolato: “ Ripresa e reminescenza rappresentano lo stesso movimento, ma in direzione opposta, perché ciò che si ricorda è stato, ossia si riprende retrocedendo, mentre la vera ripresa è un ricordare procedendo.”
Così Magnolato ricorda il suo passato, che è anche il passato della sua terra, il suo vissuto e ce lo ripropone in chiave artistica contemporanea.
L’epopea del mondo contadino del basso Piave trova, nelle opere di Gagnolato, il mezzo per non scomparire ed essere per sempre ricordato nella Storia come tassello fondamentale e importante di una fetta di Storia della vita del Veneto Orientale.
Il grande Maestro attraverso l’uso saccente del bulino o l’energico segno del pennello, trasforma le vibrazioni luminose dell’impressionismo in fremiti psichici, formulando così i principi dell’estetica espressionista.
Il vento dell’urlo del Maestro è presente in tutti i suoi quadri, a volte vuole essere una carezza a quei volti scarnificati, incavati dalla sofferenza, un gesto e una risposta a quegli occhi che chiedono aiuto e che raccontano il passato di vita e le sofferenze presenti del vivere.
Talvolta quel vento si trasforma in uragano e trafigge la natura altro elemento fondamentale della poetica dell’artista.
La natura, ricca ed esuberante, è raccontata attraverso vari elementi come: girasoli, campi di granoturco, canne, radici dissipate dal terreno, foglie, gelsi ed è protagonista incontrastata assieme all’uomo della poetica di Magnolato.
Il Maestro replica instancabilmente tutti i suoi soggetti nella ricerca di una catarsi che scioglie quei nodi della memoria a lui tanto cari.
La tavolozza dell’artista è ricchissima e composta da colori matrici che pullulano di vita propria.
Gli azzurri del neoromanticismo nordico sottolineano il peso della tristezza umana mentre i rossi, di chiara matrice espressionista, esaltano il sentimento passionale dell’uomo, il cuore, il sangue che pulsa e che nutre tutti gli organi.
Trapela la necessità d’amore, la speranza di una vita migliore e la necessità di queste creature, sopraffatte da un dolore cosmico, di non essere mai dimenticate, esse non sono sopravvissute alla vita stessa, ma continuano a vivere e a comunicare grazie alle opere del Maestro.
Egli dipinge esseri viventi che respirano e sentono, soffrono e amano, sora di realismo ideale.
La sonorità del colore e della linea sono la cifra espressiva del suo stile dove solo la necessità espressiva è regola di verità.
L’uomo è visto come trama e ordito della Storia, la natura è il filo che tiene tutto unito.
Magnolato, attraverso i suoi studi sulla figura e sul paesaggio, cerca sempre di ritrovare la prima impressione e di fermarla sulla tela.
Quando ci si pone davanti ai suoi quadri o incisioni e si osserva velocemente la successione delle immagini-natura avviene il miracolo, la Storia è raccontata.
Un’ immagine non si esaurisce in un unico dipinto. Ogni versione rappresentata è un contributo al sentimento della prima impressione, il particolare dell’emozione di un momento.
I “capricci astratti” che arricchiscono le tele o le incisioni di Cesco sono come gli esercizi di un pianista prima di suonare. Il pennello diventa poi padrone della situazione e, grazie all’immediatezza mai scontata e spontaneità di stesura, il Maestro ci dona immediatamente il suo messaggio attraverso il dinamismo balliano di segni decisi e fuggenti, vibranti emozioni dell’anima e ariosi effetti chiaroscurali.
La stessa forza fisica che Cesco usa per incidere le sue lastre d’acciaio la mette anche nelle tele e sembra che, attraverso il movimento del corpo, gli venga data la possibilità di condurre all’esterno la carica espressiva della propria interiorità.
Quei volti di uomini e donne, contadini e operai, l’emarginato dalla società, hanno un costante e unico denominatore la sofferenza. Il fruitore rimane esterrefatto, attonito dall’espressività spiazzante data dagli occhi grandi, profondi e carichi di parole, di Storia che è sempre quella che si ripete anno dopo anno, secolo dopo secolo, ovunque!
Quelle creature sono ridotte alla loro essenza, denudate da ogni falsità, libere di esprimere dignitosamente il proprio disagio attraverso gli occhi, volutamente grandi, e la bocca semi aperta in procinto di rigurgitare un fiume di parole.
I visi sempre contratti e arricchiti da copricapi-elmetti o nascosti dietro bendaggi non coprono mai il messaggio di tensione esistenziale dato dall’espressione degli occhi.