Mauro Gentile
Mauro Gentile nasce a Messina nel 1974. Poco prima di conseguire la laurea in architettura presso lo IUAV di Venezia e conclusi tutti gli esami di progettazione e composizione, temendo di perdere l’abitudine alla composizione, cominciò a fissare le creazioni mentali su supporti che non aveva mai utilizzato quali tela e carta. Questo approccio ad una nuova forma espressiva lo divertiva e da lì gli fu chiaro che la pittura poteva sostituire la scrittura praticata fino ad allora. Realizzò che con la pittura poteva dire e anche “cantare” molti più moti dell’animo attraverso l’uso del colore e delle forme, rispetto a quello che usualmente trasferiva attraverso l’utilizzo della parola. Mauro sfruttava la parola con un sistema abbastanza singolare, il suo processo di creazione prevedeva la scrittura di piccoli componimenti che venivano regolarmente distrutti una volta scritti; questo modus operandi voleva essere una sua forma di sacrificio al mondo delle idee, una bizzarria personale di fondo, siffatti pensieri scritti erano pensieri effimeri e tali dovevano restare, perciò per lui non doveva nemmeno rimanerne memoria. Questo processo della parola lo sviluppò tra 1999 e 2000. Passare alla nuova espressione artistica attraverso la pittura per Mauro significa mettere in pratica tutto ciò che aveva studiato e che continua a studiare, non solo per quanto riguardava direttamente la sua formazione di architetto, ma anche nei confronti delle varie passioni che nutre ad esempio nei confronti della storia dell’arte, installazioni ambientali, scenografia e tutto ciò che contraddistingue l’arte visiva. Oltre ciò essendo il suo lavoro un lavoro molto concreto si rese conto che era molto più divertente esplorare l’altra metà del cielo e quindi avrebbe potuto nutrire un atteggiamento molto più libero nei confronti del fare, questa libertà e sperimentazione è durata fino al 2009 circa, data in cui si sigla un confine, le implicazioni poi diventano altre. Il catalizzatore di un profondo periodo di riflessione è stato un viaggio lungo e intenso in Medioriente, Mauro fece un percorso che toccò più volte Israele, la Giordania e la Palestina. Questo viaggio tanto voluto, desiderato e pensato era stato organizzato secondo un itinerario studiato nello specifico e che voleva principalmente indagare le radici della sua cultura perché l’artista si sente profondamente cattolico e cristiano. Oltre ciò egli è di nascita per metà siciliano e i suoi lineamenti non sono per niente nordici, quindi si desume che in lui un po’ di sangue arabo ci sia. I connotati estetici riportano anche però occhi chiari, ma gli occhi gli vennero trasmessi del padre paterno, quindi se ne ricava anche che ci sia un po’ di sangue normanno. L’idea di intraprendere un viaggio dove esplorare e ripercorrere quei luoghi e dove queste caratteristiche si sono consolidate e mescolate e dove è certa esser stata la nascita della cristianità lo portarono proprio lì. Per Mauro questa esperienza è stata interessante, divertente ed illuminante in quanto da quel momento in poi ha smesso di esser quello che era e ha principiato profondamente ad intessere dentro se un dialogo di ricordo molto attento e preciso e rivolto nello specifico agli altri. Dal 2014 il suo interesse si sposta verso il disegno su fogli di carta personalmente riciclata. Il disegno, che diventa parte fondante della composizione, viene costruito sulla carta ed insieme al supporto rimanda il personale messaggio stilistico ed analisi sociologica e psicologia sull’essere umano contemporaneo. Da questo inizio si palesano i cicli dedicati agli “Atlas”, “Polis” e “Metro” questi ultimi generati invece a partire dal 2018. La carta, elemento tanto amato dall’artista, viene lavorata dagli scarti di lavorazione prodotti in ufficio e ricavati da tutti i ritagli delle tavole delle squadrature dei disegni o fogli bianchi che non utilizzati. Per giungere a questi risultati l’artista ha sperimentato tanti tipi di carta riuscendo a realizzarne una tutta sua. Una delle spinte fondamentali per rendere la carta prodotta materiale prezioso, sono state le conoscenze apprese grazie all’incontro con una signora giapponese, che gli ha rimandato alcune acquisizioni di nozioni assorbite dal suo maestro. Gli venne raccontato, passaggio dopo passaggio, le varie scelte che venivano fatte, dalla scelta dell’interno di una specifica corteccia di un determinato arbusto che cresceva solo in una specifica collina, che la carta deve essere prodotta solo d’inverno, perché deve essere fatta maturare sulla neve, e tanti piccoli accorgimenti di cui ne ha fatto tesoro. Ciò che interessò in particolar modo a Mauro fu il sistema che veniva usato per la produzione di questo supporto. Appresi i rudimenti fondamentali della produzione della carta l’artista si cimenta nel preparare dei fogli che non avranno mai una forma definita e uguale. La poltiglia viene versata su di una superficie piana, dopo di che viene lasciata libera di manifestarsi e proprio nel suo naturale allargarsi ed appiattirsi si genereranno fogli di differente forma, conservando così la propria unicità che farà sì di conferire alle composizioni un taglio originale di opera in opera. A tutto ciò si uniscono nel supporto attraverso il disegno le riflessioni risultanti dal viaggio in Medioriente. Questo ciclo dedicato nella fattispecie agli “Atlas” di Atlantide unifica emblematicamente tutti i ricordi delle persone che l’artista ha conosciuto durante il suo viaggio, l’inserimento di questo piccolo omino, messo in ogni dove nel quadro, rappresenta il piccolo eroe del quotidiano, l’uomo che attraversa momenti difficili, l’uomo che si sente il peso delle responsabilità degli altri sulle spalle, l’uomo che stratifica le sue esperienze e forma il suo carattere, l’uomo che trova sempre e comunque la forza di rialzarsi e di superare gli ostacoli della vita. L’essenziale forma conferita all’Atlas avvia ad una sorta di costruzione e introduce a molti tipi di tematiche che verranno inserite in composizioni geometricamente molto precise. Anche se il gesto della creazione sembra sempre spontaneo, in realtà esistono alcuni punti fermi a cui la composizione si adatta al di là della forma del foglio. In queste composizioni c’è una duplice visione delle cose, il disegno visto nella sua interezza, dove perdi il dettaglio, e il disegno invece analizzato nel dettaglio che svela l’interezza del messaggio della composizione.
L’atlante, l’omino piccolissimo inserito in ogni quadro lega, attraverso un segno riconoscibile universalmente i quadri di questo ciclo. Il segno usato è oggettivamente universale sia dal punto di vista dei linguaggi di adesso ma anche trasversale dal punto di vista temporale, basti pensare agli uomini delle caverne che per raffigurare loro stessi nelle pitture rupestri si rappresentavano con quattro segni con un pallino, lo stesso vale per i bambini quando iniziano a figurare loro stessi. Dal punto di vista espressivo questo tipo di grafia potrà essere decodificata in egual modo dalla Tailandia all’Islanda. Da qui la serie degli Atlas si è evoluta nel ciclo dedicato ai “MESA” che porta con sé il significato del ponte, l’attraversamento da una parte all’altra, un progredire e un lasciarsi alle spalle un percorso affrontando efficacemente il futuro. Gli stessi Atlas hanno suggerito anche il ciclo dedicato alle sculture nella fattispecie le “Polis” con la loro forma a Tempio, agli elementi delle Polis Mauro ha dato dei nomi specifici: episodi, canoni e sentinelle.
I canoni sono quelle sculture che mantengono il più possibile la forma del legno di come è stato trovato frutto di un intelligente scarto funzionale di maestranze edili, le sentinelle invece sono colorate di bianco, mentre gli episodi sono 3 uno la copia dell’altro ma realizzati con materiali diversi come legno, alluminio e carta. Questi elementi, soprattutto le Polis le troviamo anche inserite come elementi geometrici nei quadri.
Molte delle cose che fa l’artista hanno un’origine a riferimenti letterari a lui molto cari e che lo hanno formato a partire dall’adolescenza, un libro in particolar modo sovente è stato frutto di particolare attenzione e si è ripercosso nei vari cicli pittorici: “Alla ricerca del tempo perduto” di Prust, a partire dai due quadri, risalenti al 2013 e che vedono come elemento decorativo i mozziconi di sigaretta. Qui l’artista vuole sottolineare quanto tempo si spenda inutilmente conseguendo tale vizio, e del quale come risultato rimane cenere, fumo e mozzicone, rappresentando il tempo che si perde e si getta. Il numero 3, riferito ai tre elementi degli episodi, secondo l’artista non sarebbe mai uscito se non avesse pensato alla mastodontica opera letteraria di Pirandello “uno nessuno e centomila” o, l’idea di fare di ogni elemento il suo doppio, trova culla e origine sulla poetica di Gibran, di questo autore in particolar modo Mauro rimane affascinato dall’aforisma che lo stesso dedica alla casa, questo si aggancia immediatamente poi all’altra opera letteraria di Italo Calvino: “Le città invisibili”. Queste letture sono diventate parte della sua vita e sempre se le porterà dentro e inevitabilmente, nel momento creativo, ne usciranno fuori con tutta la loro energica foga.
L’ultimo percorso dedicato alla scultura riguarda le opere eseguite quest’anno e che vedono un’interazione tra pietra e carta: “Ipnos, macchina scenica”, nome che deriva da una licenza poetica. L’artista ha vinto come scenografo un’importante premio e da questo mondo si porta dietro l’esperienza incredibile fatta della macchina scenica. Il mondo del teatro come il sogno vive il mondo dell’effimero poiché esiste come realtà tangibile soltanto nel momento della rappresentazione. A tal proposito varrebbe la pena di spendere due parole sul binomio sonno/sogno. In generale viene sempre considerata la dimensione del sogno, ma mai quella del sonno, senza sonno il sogno non si potrebbe manifestare quindi se il sogno è la messa in scena, il sonno è la macchina scenica che consente la messa in scena. Il nostro artista ha ben chiari questi concetti grazie anche a degli studi che ha fatto sul sogno. Egli concepisce il sonno come un teatro attraverso tutti quanti i suoi componenti, ossia la scenografia, la macchina scenica, quello che serve per ospitare la scena, tutti gli elementi del palco, della cavea e quant’altro, cosicché riversando queste considerazioni nell’arte questi elementi enunciati lo mettono in condizione di essere più libero nel comporre. La dimensione del sonno è comunque una dimensione strutturale e nel sonno c’è ancora quel minimo di concretezza che poi con il sogno non c’è più, è un universo ancora da esplorare e proprio per ciò attraverso le composizioni informali e molto legate al subcosciente, lui si sente libero di esprimersi. In base all’angolazione in cui si guardano le sculture si possono scorgere tutte le caratteristiche dell’elemento. Di questi blocchi di legno l’artista è in particolar modo affascinato dal colore della ruggine che viene assorbita dal legno facendolo entrare in un circolo diverso, come anche è incantato dal colore rilasciato dalla muffa la quale si fissa nell’oggetto da cui è stata formata ed enuncia il senso del passare del tempo. Questi fenomeni sono la manifestazione di un elemento concreto non sono una simulazione, la ruggine si dipinge da sola, come la muffa quando muore lascia il colore, essi formano in modo autentico tutto un loro fraseggio dato da sfumature dettate solo da assorbimenti e rilasci.
Le proporzioni dei pezzi scultorei, come le loro dimensioni e le scelte dell’essenza hanno riferimenti sempre a numeri come costante, per l’artista esistono determinati numeri e non altri quindi sia nelle dimensioni che nelle proporzioni che nel numero degli oggetti, viene ricalcata una precisa sequenza, in particolar modo ci si riferisce alla successione dei numeri di FIBONACCI, in matematica non c’è niente di più interessante e rappresenta scientificamente la perfetta astrazione di ciò che accade in natura, questo aspetto nell’utilizzare determinati numeri e non altri per Mauro ha molta importanza, ad esempio quando egli trova alcuni pezzi di legno prima di decidere che quel pezzo potrà essere inserito tra le sue sculture si accerta che esso sia aggraziato e proporzionato per soddisfare la successione di Fibonacci che nei rapporti più alti rimanda comunque alla somma molto prossima del numero 1,612 che è la sezione aurea. Le sue proprietà geometriche e matematiche della sezione aurea e la frequente riproposizione in svariati contesti naturali e culturali, apparentemente non collegati tra loro, hanno suscitato per secoli nella mente dell’uomo la conferma dell’esistenza di un rapporto tra macrocosmo e microcosmo, tra Dio e l’uomo, l’universo e la natura: un rapporto tra il tutto e la parte, tra la parte più grande e quella più piccola che si ripete all’infinito attraverso infinite suddivisioni. Diversi filosofi e artisti sono arrivati a cogliervi col tempo un ideale di bellezza e armonia spingendosi a ricercarlo e, in alcuni casi, a ricrearlo nell’ambiente antropico quale canone di bellezza; testimonianza ne è la storia del nome che in epoche più recenti ha assunto gli appellativi di aureo e divino. Già usata da Leonardo da Vinci, come formula che identifica la bellezza, Vitruvio già nel 1° sec AC ne scriveva, Fibonacci ci arriverà un migliaio di anni dopo. Il Matematico dunque trova la formula che scopre il tutto ossia teorizza attraverso la determinazione geometrica l’elemento più vicino all’ideale di bellezza. Questo elemento diventa così una costante nella ricerca dell’artista e viene costantemente riproposto ad ogni ciclo pittorico e scultoreo. Tutte le proporzioni che possono regolare la gradevolezza di una forma devono rispondere a questa teoria matematica, volente o nolente nel tutto traspare e la proporzione nel caos si nota, come nella banalità di un elemento trilitico è una proporzione aggraziata che lo rende più interessante rispetto a uno che non ce l’ha. Per Gentile dunque l’arte è ricerca della bellezza dettata da canoni specifici e strutturati in un mondo che va dalla scienza e le sue conferme, ad altri mondi che raccolgono invece esperienza, autoanalisi, introspezione legati da un filo profondo che è l’esperienza della vita e di tutte le sue sfumature.
Raffaella Ferrari
Critico d’arte