Mostra Collettiva “Diacronia Figurativa” Galleria Castellano.

Mostra Collettiva “Diacronia Figurativa” Galleria Castellano

DIACRONIA FIGURATIVA INTRODUZIONE ALLA MOSTRA

 

La lunga ricerca nel campo delle forme artistiche attuata dagli autori esponenti nella mostra a titolo “Diacronia Figurativa” comprova vari studi e molteplici stili offerti ed è atta a dimostrare le plurime sfumature che si possono consegnare ai misteri e verità dell’esistenza. L’arte assume così il ruolo originario di archetipo quale mezzo di interazione tra la mente umana e la sua sfera creativa. Arte, storia, sociologia e campi meditativi personali si fondono emblematicamente e destinano come risultato un’esemplare fusione di stili che trasmettono diversamente modi di vedere e di vivere la vita. I messaggi personali e variegati insiti nelle opere esposte toccano diverse rime dell’esperienza personale di vita e di sperimentazione artistica. Attraverso questa mostra si vogliono trasmettere le varie differenziazioni che ci possono essere nell’ambito dell’espressione figurativa a partire dall’iperrealismo per giungere e sfiorare espressioni informali. La scelta dell’artista selezionato è stata frutto di un’attenta analisi condotta per mezzo di parametri di prospettiva artistica dinamica ed evolutiva, enunciando una serie entusiasmante di diversità ditecniche esecutive. Le opere selezionate nel campo pittorico, scultoreo, fotografico e digitale offrono un saggio considerevole di come il mondo dell’arte contemporanea si stia muovendo. Gli autori oltre che omaggiarci delle loro riconoscibili abilità tecniche, generosamente ci accolgono nel loro mondo per condividere insieme le loro missive, si augurano di impregnarci, immetterci e squassarci grazie al significato personale e recondito che intride la loro arte. Tutti gli artisti meriterebbero un’indagine profonda del loro operato, ma mi limiterò ad enunciare alcune linee guida per consentire a tutti i fruitori la possibilità di trovare gli spunti utili e necessari atti a catturare l’essenza stessa dell’arte qui rappresentata.

L’indagine della scultura nel campo della materia e della simbologia sono pienamente centrate nelle opere di Gionatan Alpini (Cesenatico) e Sabrina Alessandrino (UD); entrambi indagano l’uomo e la società nella propria interiorità e nei personali moti dell’anima. Non a caso le opere eseguite in terraglia (ceramica bianca dolce, materiale non utilizzato generalmente in scultura) dell’artista Alessandrino portano come titolo: “Psiche” e fanno parte di un ciclo di opere dedicate a questo tema. La missiva della scultrice vuole condurci ad indagare sulle persone e ci guida a non limitarci nel solo guardare con gli occhi, ma ci invita ad andare oltre l’apparenza di ciò che vediamo, approfondendo conseguentemente ogni personale conoscenza. L’involucro cui siamo tutti imprigionati, nasconde in realtà mirabile essenza, essa sia positiva o negativa. L’arte dell’Alessandrino vuole fornire una guida su come vedere con chiarezza la natura della mente. In questo modo si può acquisire una comprensione in prima persona di come siano le cose, senza affidarsi a personali o generali opinioni e teorie. Questo guardarsi intorno si chiama “contemplazione” ed è un modo di vedere personale e diretto per rapportarsi al mondo senza discriminazioni e preconcetti.  Nell’opera di Gionatan Alpini invece il processo è inverso ossia l’attenzione verso l’Io si espande al di fuori del corpo che è visto come gabbia e cerca conseguentemente il proprio riscatto nella società, l’uomo deve sempre rispondere a costrizioni dettate dalla società e a causa di ciò deve continuamente mutare e talvolta cambiare la sua vera essenza modificando la propria natura solo per essere accettato. Conseguentemente l’uomo stesso sarà costretto a rifugiarsi in personali vie di fuga per riscattare la propria libertà, tra cui il sogno e il trasporsi in altre dimensioni facendo forza sul potere del sé. Il grande mistero della vita e della morte è immortalato nelle opere pittoriche di Marino Benigna (BG). La vita è vista dall’autore come uno scorrere di energia, per cui durante la vita noi andiamo a depositare continuamente la goccia che andrà a vuotare la clessidra del nostro tempo, così possiamo dire che nel momento in cui depositiamo l’ultima goccia non si produce solo la morte, ma concludiamo un percorso, un viaggio in cui ci siamo imbarcati dalla nascita: “mors non una venit, sed quae rapit, ultima mors est”. L’opera di Benigna oltre che figurare un dato di fatto è arricchita da una personale visione ed esperienza di vita riscontrabile nei soggetti da lui rappresentati, dove il grido dell’angoscia umana lo contrappone ad esplodere nell’inevitabile energia della vita e della creatività contraria alla stasi della morte e del nulla.

Lo stesso mistero della vita rapportato alla spiritualità e dedizione, e trasposto al senso dell’amore e del rispetto, come valore rapportabile e applicabile a tutti i comportamenti quotidiani e agli esseri viventi, è invece riscontrabile nell’opera fotografica di Dino Bonfante (RO) e nell’opera pittorica di Maria Carla Prevedello (TV). Dino Bonfante propone una serie di foto tratte dal ciclo: “Fotografie” in cui la ricerca della luce è sempre presente, come in tutto il percorso affrontato fin oggi dal fotografo. La luce e la meditazione rilevabili in due delle opere fotografiche, rispecchiano uno stato che si effonde dapprima nel cuore attraverso la mente, per poi espandersi e compenetrare tutto ciò che contorna. Le persone catturate dall’obiettivo di Bonfante fanno nascere in noi quel senso di calma che proviene dal conoscere qualcosa nel nostro intimo, al di là della dimensione del dubbio. Il rispetto si enuncia nell’opera titolata: “Diversità” che si propone di porre alla nostra attenzione l’esasperato eccesso nell’apparire di alcune persone, a volte provocatorio. Lo stesso atteggiamento è necessario per lanciare un messaggio proveniente dagli stessi uomini/donne fermati dall’obiettivo ed è atto a guidarci verso l’accettazione nei confronti  delle persone al di fuori di ciò che si vede o che vogliono far vedere. L’opera di Bonfante in questo caso si ricollega emblematicamente alla poetica artistica della scultrice Alessandrino. Maria Carla Prevedello, citata da Sgarbi come: “Colei che vede il cielo nell’oro”, attraverso la sua cifra artistica, frutto di un lunghissimo lavoro di ricerca e direzionato sia sulla tecnica che sull’armonia del colore, coltiva la benevolenza dell’amore, riversandolo nelle cose che la circondano e innalzandosi conseguentemente ad uno stato spirituale che non è che la più alta condizione di consapevolezza raggiunta dall’autrice. Questo impegnativo lavoro di ricerca personale, ossia la ricerca di Dio all’interno di sé, si riversa nell’arte da lei prodotta e ne conquista lo scopo fondamentale della propria esistenza. La Prevedello a mezzo dei quadri parla e racconta di un individuale percorso di vita e ci omaggia, grazie alle proprie intime commozioni e attraverso la morbidezza del tratto e delle tematiche eviscerate, di criptati messaggi evolutivi. L’oro, simbolo del sacro, è immesso con vigore nelle opere e ne potenzia ancor più l’energia. Le realizzazioni dell’artista sono inoltre arricchite da concetti filosofici ad esse associati. Discostandoci lievemente da discorsi spirituali o psichici affrontati fino ad ora ci immettiamo in un mondo altrettanto intimo e coinvolgente come l’emisfero femminile ampiamente descritto dalla pittrice Roberta Coral (TV). Nell’opera della Coral qui rappresentata ed esposta vi è un ritorno alla figurazione che tende ad un grafismo di tipo illustrativo-scenografico. I personaggi che popolano le opere sono il frutto di un’ispirazione che nasce dall’osservazione del mondo sia esterno che interno. Ciò che l’artista rappresenta sono scene di vita vissuta fisicamente e nello spazio dell’anima. Arte introspettiva dunque, arte che incessantemente racconta pezzi della propria storia e rivela velatamente la vita organizzata dentro di sé. La narrazione così ottenuta racchiude e protegge la saggezza raggiunta dall’artista, arricchita dall’esperienza del vissuto, come donna in famiglia e nella società, e viene espressa attraverso un linguaggio artistico dall’alto spessore tecnico, risultato raggiunto grazie a tanti anni di duro lavoro e di sperimentazione sulla materia. La femminilità e la Coppia sono temi approfonditi dall’artista Maria Rosa Maccorin (PN), che su di una dialettica di fondo informale, tira fuori e fa nascere forme figurali che ricordano manichini, dal chiaro richiamo metafisico. L’indagine dell’artista in questo filone va ad analizzare i momenti più intimi che si possono raggiungere nella vita di coppia, toccando la dolcezza e la serenità che infonde l’amore e il rispetto nei confronti della persona amata. La necessità del contatto fisico e l’abbandono alle tenerezze fanno si che nasca complicità autentica ed è conseguenza di un incontro basato sul rispetto reciproco.  Cosicché l’artista ci consegna il proprio messaggio d’amore, in cui prende corpo il suo singolare stile dall’esperienza del suo lungo ed elaborato passato artistico. Questi corpi, come nell’opera a titolo: “Sensualità”, sono eseguiti con linee di contrasto nette e decise, che si completano e si compenetrano Il colore del fondo funge da accensione emozionale, mentre il manichino ha la funzione di raccontare la sua storia e la propria esperienza. Attraverso questo ciclo Maria Rosa vive un fertile scambio con la propria opera, dove vibra la cifra di una riflessione profonda dell’artista sulla vita. Completamente contrapposta alla linea esecutiva della Maccorin è l’opera iperrealista dell’artista Antonio Pugliano (CZ). Intrigante è l’associazione dei due ritratti in esposizione dal titolo: “Il Lupo” e “L’Agnello”, che oltre ad offrirci un saggio di capacità esecutiva e di conoscenza profonda del mezzo pittorico, profila un’ampia gamma di particolari espressivi coronati da un attento studio delle luci e delle ombre, procedimento attraverso il quale l’artista sottolinea e conduce alla rivelazione del mistero intrappolato negli sguardi. A questo punto si apre un percorso composto da mille sviluppi e soluzioni e si principia un fraseggio fitto di comunicazione con il fruitore, lo stesso si sentirà condotto verso una strada che lo porterà inevitabilmente a comporre una storia in cui i personaggi offerti dall’artista diverranno i protagonisti principali. Ogni opera così realizzata è un’opera formalmente compiuta e autonoma dove l’artista, attraverso uno scavo, porta alla superficie pittorica, le sedimentazioni, le tracce di quegli accadimenti privati, di quelle realtà emotive, incarnatesi sul volto dei personaggi ritratti.

L’ultimo gruppo di artisti si eclissa dal figurare l’uomo fisicamente e manifesta altri aspetti riferiti sempre all’uomo, ma dedicandosi particolarmente alle tracce dello stesso, tracce del suo passaggio e del suo lavoro. Questo percorso è riscontrabile particolarmente nei lavori di: Loredana Riavini (TS) ed Ezio Ciprian (VE). Nella pittura narrativa e nostalgica, eseguita perlopiù en plein air, da Loredana Riavini e raffigurante nello specifico i caseggiati del territorio Triestino e Sloveno, in realtà si parla ampiamente dell’uomo, anche se esso non viene mai volontariamente figurato. Gli ambienti, resi a mezzo di una pittura esemplare nell’esecuzione, armoniosa e prospetticamente riuscita, narrano vicende di vita vissuta dove i fantasmi dell’uomo ancora aleggiano e raccontano le loro vicende e fermano, in alcuni oggetti posti volutamente a decorare l’ambiente, il loro passaggio. Il tempo sembra essersi fermato e, grazie alla lentezza obbligatoria nell’atto della lettura delle opere di Loredana, scorgiamo tanti particolari come: i muri muffiti dal tempo, che lasciano trasparire le mille cromie di intonaci posti sulle stesse facciate e le porte o finestre semi aperte che ci invitano ad entrare e a catturare in punta di piedi la vera essenza del messaggio nascosto dell’artista. Loredana tutto questo lo racconta attraverso un fitto frasario compositivo, timbrico e tonale, dato dall’unione dell’armonia ed equilibrio prospettico, lumeggiato da luci sapientemente direzionate ed atte a sottolineare, grazie alla perfezione della tecnica esecutiva, le emozioni dell’anima dell’artista. Ezio Ciprian sviluppa per lungo tempo una tematica rivolta alle muffe dei muri dove inserisce un duro lavoro di ricerca rivolto ai metalli, sfruttando le colorazioni che assumono, attraverso bagni elettrici o ossidazioni ottenute con gli acidi. Si intravede nelle sue opere una microscopia analitica del segno emotivo che guida inscindibilmente il suo creare. I fondi sono quasi del tutto aboliti, in quanto distrattivi e, l’estrema perizia nell’esecuzione della trama, del “Tessuto”, delle micro variazioni del colore e delle strutture tonali così ottenute, diventano realmente strumenti di indagine con cui egli penetra nelle mappe della speleologia pittorica, lenta e meticolosa. Il ripescaggio dei sentimenti, intesi quali impronte di vita, si concludono silenziosamente, attraverso accortezze micrometriche ed un controllo assoluto del segno. Ma l’uomo è anche storia e non saremo gli esseri attuali se non avessimo avuto passaggi storici importanti conquistati da popolazioni che hanno lasciato un segno profondo perpetuandosi all’attuale contemporaneità. Questa è l’attenzione rivolta dall’artista Wanda Grassi (TS) nei confronti dello studio dell’egittologia. Wanda Grassi è un’esperta in questo settore e il suo fine è quello di portare l’amore che ha verso questa cultura e la sua terra, sulla tela.

I tre quadri esposti trattano temi importanti come la conoscenza delle costellazioni e dell’astrologia e vi si delineano le varie credenze religiose legate a questa popolazione. La Grassi oltre ad ordire trame nella tela date da campiture colorate decisamente armoniche, inserisce emblematicamente vari riferimenti e simboli atti a decifrare il tema da lei sviluppato avviluppando le sue tele con spiegazione in geroglifico del suo messaggio. Il quadro a titolo: “Il Cielo”, mostra con un arco dorato ricolmo di stelle il corpo della Dea Nut che sovrasta e protegge al suo interno la figura di un uomo e di una donna abbracciati. Lateralmente a sinistra un geroglifico spiega che nel cielo nasce l’amore vero e lì è protetto per l’eternità. L’altro quadro titolato: “Sognando il vento dell’eternità”, l’artista si rappresenta come un soffio di vento e viene trasportata lungo la Valle dei Re dirigendosi verso la cima Tebana. La rappresentazione di questo luogo è molto caro alla Grassi in quanto sente pulsare l’energia della vita. La montagna rappresentata è stata realizzata con la sabbia della Valle dei Re. Addentrandoci nel quadro si possono scorge innumerevoli altre simbologie. Questo percorso-studio, attivato dall’artista nei confronti di una popolazione così importante, merita ulteriore indagine e interesse da parte di tutti i fruitori.

La natura e le sue creature invece sono contemplate nell’opera di pittura digitale di Lucillo Santesso (Ve) e nelle grandiose sculture di Enzo Gobbo (BL). Lucillo Santesso grazie all’importante percorso affrontato attraverso l’arte digitale Santesso è riuscito a fondere tutte le forti passioni che lo hanno caratterizzato durante la sua vita , grazie a ciò ha trovato il mezzo a lui più consono per trasmettere nuove emozioni alla ricerca sulla luce. La pittura digitale è istintiva e immediata secondo l’autore e risponde alle esigenze personali per messaggi neuronali diretti dall’ispirazione del momento. I soggetti così raffigurati replicano, essi siano a tema natura o umana, perfettamente le forme e le ombre generate dalla luce dando la giusta percezione del volume del soggetto. Tutte le opere di Lucillo hanno in comune un’unica cosa ossia la ricerca sulla natura della luce, sul suo farsi e il suo disfarsi, sul movimento degli atomi che la costituiscono, sull’eterno contrasto con il buio. La ricerca sulla luce e sul moto della luce conducono Santesso ad analizzare le infinite possibilità di alludere indirettamente alla reale dinamica psicologica personale che suscita ed anima personali riflessioni mosse e articolate. Cosicché l’artista stesso, deposita una sorta di testamento spirituale nelle sue opere, trascrive i suoi ricordi e le emozioni legate ad un particolare momento della vita. I fiori raffigurati, ad esempio, sono fiori esistenti nel suo giardino, fiori che da piccolo raccoglieva ogni dove e che trapiantava con amore e cura di fronte a casa sua ripromettendosi di non mancare mai all’appuntamento fissato con la primavera.

Enzo Gobbo pittore e scultore bellunese è legato profondamente alla natura che lo circonda e alle essenze che essa dona. Le sculture eseguite in legno di ciliegio, cirmolo e pero esprimono un modo del tutto personale di fare scultura e la sua missiva è quella di destinare ai fruitori l’opera di salvaguardia dell’ambiente che lo circonda. Le sculture eseguite perlopiù in legno, materia eternamente viva, incostante e imprevedibile, sotto la sua guida esperta, accetta di essere sagomato attraverso una modellazione precisa e ponderata, raggiungendo stadi di informazione altamente comunicativi, nei quali lo scalpello scorre e incide in modo carezzevole e al tempo stesso deciso, cosicché le peculiarità morfologiche della materia si prospettano quali componenti tipiche del suo idioma. Gobbo rappresenta ciò che a lui ha dato un’emozione o evoca un personale ricordo, per questo il suo legame nei confronti del mare o il semplice affetto che nutre per il suo gatto domestico, diventano i soggetti principali del suo percorso scultoreo; tali temi così sviluppati si contraddistinguono per autenticità e spontaneità e l’artista raggiunge una personale e avvincente armonia nel e con il mondo. Euforia leggera quella di Gobbo protesa a raccontare sogni e catturare memorie per respirare nella materia i pensieri dell’essere e dar forma ai personali silenzi.

 

Raffaella Ferrari

Critico d’arte

 

 


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