Sabrina Alessandrino nasce a Monfalcone nel 1969. La madre Anna Maria Ricci è stata pittrice, scultrice ed insegnante di storia dell’arte, le fa conoscere le varie sfaccettature del mondo dell’arte rendendola sempre partecipe a concorsi e attività artistiche sin dall’età di dieci anni, quando ottiene già i primi consensi e approvazioni. L’ambiente che avvolge Sabrina, con i propri stimoli ed energie, rapisce sempre più il suo interesse e stimola ancor più la sua creatività.
La predisposizione particolare dell’artista, nei confronti della decorazione e della lavorazione dell’argilla, ha certa origine dall’attività familiare, in quanto i genitori avevano creato un importante laboratorio artigianale-artistico per la lavorazione della ceramica.
Determinata un’iniziale impronta e inclinazione nei confronti dell’arte, Sabrina affinerà sempre più la propria conoscenza grazie agli studi intrapresi in questo campo, difatti dopo aver conseguito il diploma presso il Liceo Artistico di Pordenone e Treviso, consegue la Laurea all’Accademia di Belle Arti di Venezia. L’inizio della sua attività artistica principia con l’esposizione del 1998, tenuta a Coseano, presso un locale gestito da un artista rinomato. L’Alessandrino in tutti questi anni di attività ha percorso parallelamente sia la strada della pittura che della scultura, avviando nell’una come nell’altra la sperimentazione di materiali (tra cui anche il bitume) e delle tecniche prescelte. In particolar modo è molto interessante l’uso in scultura della Terraglia dolce, materiale molto difficile da modellare in scultura e normalmente usato per usi domestici o decorativi di piccole dimensioni. Grazie alla profonda conoscenza di questo materiale e delle sue peculiarità, con l’analisi e la previsione dei suoi comportamenti, l’Alessandrino, dopo varie e ragionate sperimentazioni, è riuscita a dominarlo come nessuno fino ad ora, e a modellarlo a suo piacimento.
Insegna materie di pittura, scultura e mosaico da oltre dieci anni in laboratori presso centri residenziali per utenti diversamente abili.
In pittura le tonalità calde e tendenti allo scuro, usate come consuetudine e nota distintiva da parte dell’artista, celano costantemente la ricerca di punti di luce da cui traggono direttamente e con forza i punti di energia e movimento. Gli elaborati eseguiti soprattutto a pennello piatto e largo, talvolta arricchiti dall’uso della spatola, denotano la velocità nella stesura atta a riprodurre un se no fuggente moto creativo. Cosicché il colore ad olio, denso e corposo, usato come fondo, pian piano andrà coagulando e formerà la figura cui è destinata ogni singola creazione da parte dell’artista. Un’altra peculiarità interessante nelle opere dell’Alessandrino sono le campiture acquerellate, sempre ad olio, collocate in spazi ben definiti e atte a dar riposo all’occhio ed ad attivare nel fruitore attimi di meditazione durante la decodifica della texture grammaticale dell’opera.
La ricerca del cromatismo raggiunge così delle rime tonali che tracceranno l’attuale cifra espressiva e riconoscibile dell’artista. Fondamentale per l’Alessandrino è esprimere nell’immediato ciò che sente e che prova, rappresentare il giorno dopo un personale momento vorrebbe dire non rappresentare la stessa cosa. Le opere non hanno mai un disegno preparatorio. I gesti pittorici, accettati dalle grandi tele, hanno bisogno di ampio raggio d’azione, visto che lo stesso spazio sembra dare input al colore per farsi forma.
Le figure e i temi sviluppati come: cavalli, tori, galli, persone, treni, aerei, biciclette, giusto per citarne alcuni, vengono riscoperti o reinterpretati attraverso un intenso impeto segnico, dopo un “tormentato” processo di ricodifica e di rivisitazione della personale realtà da raffigurare. Nelle tele esplode così l’inconscio dell’artista e si alimenta di una connaturata arte dell’introspezione che si riverserà, come “racconto”, nell’ultimo percorso scultoreo affrontato dall’Alessandrino con le opere intitolate: “Psiche”. Ogni moto dell’anima, così elaborato, va a rappresentare l’anima meditativa e trasformatrice della realtà intima dell’artista.
La cifra raggiunta nella pittura dall’Alessandrino, esplicita una carica emozionale di cui l’artista conosce tutte le potenzialità espressive e le fa sue, controllandole sin dai primi segni sulla tela. Ciò che trapela dalle opere è arte della volontà, di una volontà razionale e che difende il senso della vita, al di là e al di sopra di ogni accadimento; volontà interna alla natura e segno della forza e dell’energia che spinge l’uomo a desiderare, agire, lottare per evitare di soffrire, portandolo a rigenerarsi giorno per giorno. A questo concetto appena enunciato legherei il senso del dinamismo onnipresente nelle opere; dinamismo come sinonimo di vita che scorre, di sangue e di passione, elemento fondante e necessario per superare nella vita qualsiasi ostacolo e difficoltà. Il moto perpetuo del movimento diventa così il filo conduttore e “trait d’union” tra la pittura e la scultura dell’autrice. Nella scultura anche se in maniera più celata, il dinamismo è visibile grazie al sistema di ripartizione degli elementi dato dagli intrecci, si sprigiona così attraverso il materiale e le sue concatenazioni una rara energia. Le sculture, così difficilmente realizzate, indagano l’uomo e la società nella propria interiorità e nei personali moti dell’anima. Non a caso le opere, eseguite in terraglia portano come titolo: “Psiche” e fanno parte di un ciclo di opere dedicate a questo tema. La missiva della scultrice vuole condurci ad indagare sulle persone e ci guida a non limitarci nel solo guardare con gli occhi, ma ci invita ad andare oltre l’apparenza di ciò che vediamo, approfondendo conseguentemente ogni personale conoscenza. L’involucro cui siamo tutti imprigionati, nasconde in realtà mirabile essenza, essa sia positiva o negativa. L’arte dell’Alessandrino vuole fornire una guida su come vedere con chiarezza la natura della mente. In questo modo si può acquisire una comprensione in prima persona di come siano le cose, senza affidarsi a personali o generali opinioni e teorie. Questo guardarsi intorno si chiama “contemplazione” ed è un modo di vedere personale e diretto per rapportarsi al mondo senza discriminazioni e preconcetti.
Raffaella Ferrari